Commedia,
novità
italiana,
di
grande
attualità
in
cui
è
centrale
il
tema
della
famiglia.
Una
coppia
di
genitori
ha
finalmente
tagliato
il
cordone
che
la
legava
ai
propri
figli,
due
maschi
e
una
femmina,
ormai
adulti
e
lontani
da
casa.
Papà
e
mamma,
infatti,
cominciano
a
sentirsi
liberi
di
tornare
a
vivere
una
vita
di
coppia
dopo
che
per
anni
si
sono
sacrificati
per
il
bene
dei
loro
figli
e
tentano
di
tornare
a
fare
cose
di
cui
avevano
perso
il
gusto
dedicandosi
a
se
stessi
e
ai
propri
hobby
fino
a
riscoprire
magicamente
il
"tempo
libero".
Ma
l'immaturità
dei
"bamboccioni"
li
costringe
presto
a
tornare
nell'accogliente
nido
familiare
con
un
susseguirsi
di
situazioni
comiche
imprevedibili.
La
coppia
di
genitori
(Paola
Gassman
e
Pietro
Longhi)
vedrà
ben
presto
svanire
il
sogno
di
libertà
che
si
era
appena
materializzato
tra
loro
e,
in
un
crescendo
comico,
dovrà
adoperarsi
per svuotare il nido un'altra volta.
Anna e Giulio sono una coppia di oggi.
Federica
e
Gabriele
i
loro
figli.
Come
succede
spesso
quando
i
genitori
cominciano
a
credere
di
aver
svolto
per
intero
il
loro
compito,
Giulio
e
Anna
si
trovano
invece
a
dover
affrontare
una
serie
di
problemi
inaspettati.
Frizzante
commedia
sulla
famiglia
nella
quale
c’è
veramente
di
tutto:
amore, risate, imprevisti, situazioni comiche e nevrosi quotidiane.
I
figli,
infatti,
se
pur
amati
e
ben
guidati
dai
genitori,
non
sono
poi
così autonomi e “maturi” come sembrano.
E
i
giovani
genitori
che
si
credevano
ormai
liberi
di
pensare
un
po’
a
loro
stessi,
presto
saranno
costretti
a
rimboccarsi
le
maniche
per
rituffarsi a risolvere i problemi e le situazioni complicate dei figli.
Famiglia
vera,
quella
composta
dai
nostri.
Ognuno
porta
il
suo
contributo
di
ironia,
intelligenza,
pazienza,
simpatia
per
svolgere
al
meglio il difficile e “mai concluso” mestiere di genitore.
"
La
luna
degli
attori
di
Ken
Ludwig
è
una
commedia
che
è
stata
portata
in
scena
con
grande
successo
nel
1996
da
Anna
Proclemer,
Giorgio
Albertazzi
e
Alessandra
Casella
ed
oggi
viene
riproposta
da
PAOLA QUATTRINI, PIETRO LONGHI
e
MIRIAM MESTURINO
.
L'opera
racconta
le
disavventure
di
una
compagnia
teatrale
degli
anni
'50.
Per
George,
Charlotte
e
Roz
non
e'
difficile
stare
in
scena
ma
uscire
di
scena.
Gli
anni
passano,
gli
incassi
non
sono
più
quelli
di
una
volta
e
prendono
il
via
litigi,
incomprensioni,
identità
scambiate,
amori
e
amanti,
infiniti
equivoci
che
culminano
nell'entrata
in
scena
del
capocomico
ubriaco
che
sbaglia
completamente
commedia
lasciando di stucco i colleghi.
Questo
testo
ha
il
pregio
di
disegnare
personaggi
e
umori
autentici
e
di
portare
a
termine
un'analisi
profonda
del
mondo
dello
spettacolo,
dei
suoi
vizi
e
delle
sue
virtù,
giocando
con
ritmo
serrato
in
un
clima
di
grande
divertimento.
Con
leggerezza
costringe
lo
spettatore
ad
un
impietoso
sguardo
sulle
debolezze
umane
e
sulla
"crudeltà"
di
certi
rapporti:
la
vita
e
le
disavventure
di
questa
compagnia
teatrale
diventano
metafora
dell'intera
società
contemporanea. Come dicevano i Latini, ridendo castigat mores.
La
nostra
passione
per
SIMENON
ci
ha
spinto
a
mettere
in
scena
una
delle
storie
di
Maigret
che
hanno
un
più
sicuro
impianto
teatrale.
In
“Maigret
al
Liberty
Bar”
il
famoso
commissario
vive
un’esperienza
straordinaria,
fuori
dal
normale
anche
per
un
uomo
della
sua
tempra.
Cercando
di
scoprire
l’assassino
di
Mister
Brown,
Maigret
si
cala
intere
giornate
nella
penombra
accogliente
del
Liberty
Bar,
accanto
a
Jaja,
una
donna
piena
di
passione,
fragilità,
tenerezza
e
rimpianti
alla
ricerca
di
una
ottusa
felicità
fatta
di
ubriacature
e
voglia
di
normalità.
In
quel
microcosmo,
nebuloso
e
comodo
che
ricorda
una
fumeria
d’oppio
vive
anche
Sylvie,
una
giovane
prostituta
con
la
sua
avvenenza
brutale.
Maigret
intuisce
la
rete
di
relazioni
intime
e
disperate
che
c’è
dietro
il
racconto
semplice
di
una
morte
per
omicidio;
diventa
anche
lui
parte
del
paesaggio,
bevendo
con
Jaja
e
Sylvie,
penetrando
quel
delicato
tessuto
connettivo
umano
fatto
di
relitti
che
cercano
pace
senza
riscatto.
Alla
fine
Maigret
verrà
a
capo
del
mistero
:
una
piccola
storia
d’amore.
Una
piccola,
dolorosa
storia
d’amore.
Portare
in
scena
Simenon
è
un’operazione
che
ci
esalta
e
che
sta
suscitando
un
enorme
interesse
presso
gli
innumerevoli
cultori
del
mito
di
Maigret
e
intendiamo
trasmettere
al
pubblico
la
stessa
atmosfera
e
le
stesse
suggestioni
raccontate
dall’autore
nei
suoi
romanzi,
curando particolarmente il profilo psicologico dei personaggi.
Questo
autore
è
stato
spesso
considerato
dai
suoi
contemporanei
“troppo
moderno”
ed
ha
scritto
sei
commedie
“palliate”
ispirate
quindi
ad
un
modello
greco,
diversamente
dalle
“togate”
di
ambientazione
romana,
operando
una
vera
e
propria
riforma
nell’ambito
di
questo
genere,
inserendovi
nuovi
contenuti
ideologici
ed
attingendo
nella
“NEA”
la
commedia
nuova
ellenica
di
cui
Menandro
è
l’esponente
più
noto.
La
carriera
drammaturgica
di
Terenzio,
non
fu
certo
facile
come
quella
di
Plauto,
forse
perché
nella
sua
opera
non
troviamo
l’esuberanza,
le
acrobazie
verbali,
i
giochi
di
parole
del
sarsinate.
Terenzio,
infatti,
usa
uno
stile
ed
un
linguaggio
sobrio,
naturale,
all’insegna
della
compostezza
e
della
semplicità
evitando
espressioni
popolari
e
volgari
in
omaggio
forse
all’esigenza
di
equilibrio
e
di
raffinatezza
che
egli
mutuava
dal
sofisticato
circolo
scipionico
di
cui
faceva
parte.
Anche
la
“contaminatio”
è
usata
da
Terenzio
in
maniera
diversa
dagli
altri
autori
latini
non
ibridando
una
commedia
con
una
mescolanza
di
varie
commedie
greche,
ma
inserendo
una
intera
scena
desunta
da
altri
drammi
all’interno
di
una
sola
commedia
greca
usata
come
modello.
Nel
Teatro
“naturalistico”
di
Terenzio
troviamo
una
suspance
nuova.
Lo
spettatore
è
coinvolto
emotivamente
nelle
vicende,
prova
le
stesse
emozioni
dei
personaggi
e
l’autore
non
consente
procedimenti
“metateatrali”
cioè
non
vuole
che
venga
mai
interrotta
l’illusione
scenica
e
al
contrario
di
Plauto
che
tendeva
solo
a
divertire,
cerca
di
trasmettere
un
messaggio
morale.
Nasce,
insomma
un’attenzione
sociale
che
allora
era
una
vera
e
propria
rivoluzione
culturale
con
dentro
un
messaggio
di
HUMANITAS.
“…homo
sum,
humani
nihil
a
me
alienum
puto…”
(sono
un
uomo
e
niente
di
ciò
che
è
umano
considero
a
me
estraneo…)
Aprirsi
agli
altri,
rinunciare
all’egoismo,
comprendere
i
propri
limiti
ed
essere
indulgente
nei
confronti
degli
errori
degli
altri:
in
una
parola
essere
tolleranti
e
solidali.
Ed
è
così
che
i
personaggi
di
Terenzio
si
allontanano
miglia
e
miglia
da
quelli
pacchiani,
spregiudicati,
egoisti
e
truffaldini
di
Plauto.
La
nuova
comicità
non
è
più
nella
battutaccia
o
nell’intrigo
e
risiede
più
nel sorriso che nel riso, un sorriso talvolta venato di riflessione e meditazione.
Menandro,
l'autore
più
rappresentato
della
"commedia
nuova",
considerato
dagli
antichi
greci
secondo
solo
ad
Omero,
fu
per
molto
tempo
poco
più
di
un
nome.
Alcuni
fortunati
ritrovamenti
di
papiri
hanno
permesso
alle
sue
commedie
di
riemergere
dalle
nebbie
del
tempo.
Molte
commedie
sono
incomplete,
ma
altre
hanno
permesso
di
tratteggiare
una
chiara
immagine
della
straordinaria
capacità
del
loro
autore.
La
donna
di
Samo
del
titolo
è
Criside,
già
etèra
e
poi
compagna
di
un
benestante
Demea,
mercante
di
Atene.
Attorno
alla
figura
della
donna
ruotano
le
vicende
di
due
famiglie
in
un
intreccio
di
amori,
equivoci
e
inganni
che
si
scioglie
nell'immancabile
lieto
fine.
Menandro
è
abilissimo
nel
descrivere
le
tensioni,
la
fragilità,
le
astuzie
della
"nuova
società"
ateniese
verso
la
fine
del
IV°
secolo
a.C.
L'opera
può
essere
definita
una
vera
commedia
degli
equivoci
e,
nonostante
tutti
si
comportino
in
assoluta
buona
fede
e
manchi
la
figura
del
malvagio,
la
situazione
rischia
sempre
di
precipitare.
La
figura
femminile
di
Criside
spicca
per
la
sua
sensibilità
e
modernità.
La
donna
accetta
accuse
ingiuste
e
anche
di
essere
cacciata
di
casa
senza
ribellarsi,
solo
per
solidarietà
femminile.
Anche,
Demea,
il
protagonista
maschile
ha
una
sua
originalità.
E'
la
trasformazione
menandrea
di
un
classico
personaggio
comico
del
passato
:
l'uomo
maturo
innamorato
di
una
giovane
che
da
comico,
nella
scrittura
elegante
di
Menandro,
si
trasforma
in
controverso
personaggio
dai
mille
risvolti
psicologici
che
lotta
con
se
stesso
ma
non
può
impedirsi
di
essere
roso
dalla
gelosia.
Menandro
non
genera
mai
momenti
di
pura
ilarità,
ma
grazie
ad
un
senso
del
comico
molto
sottile
fa
sorridere
molto
di
pregi
e
difetti
dei
vari
individui
che
compongono
la
sua
intrigante
umanità.
Non
ci
sono
più
i
grandi
temi
del
passato,
le
grandi
passioni,
i
grandi
obiettivi.
La
Grecia
di
Menandro
si
guarda
dentro
di
se
in
una
introspezione
quasi
attonita
e
la
famiglia,
o
meglio
il
microcosmo familiare diviene il punto focale dell'indagine poetica.
QUESTI FIGLI AMATISSIMI…
di Roberta Skerl
con Edy Angelillo, Pietro Longhi, Danilo Celli, Carmen Di Marzo
scene Mario Amodio
costumi Lucia Mariani
regia Silvio Giordani
Divertente,
simpatica,
allegra,
spassosa.
E,
nei
panni
della
mamma
demoralizzata
dagli
insuccessi
dei
suoi
due
ragazzi,
è
assolutamente
credibile.
Queste,
in
sintesi,
le
caratteristiche
della
performance
di
Edy
Angelillo
,
un’attrice
competente
e
preparata,
che
nel
suo
ultimo
impegno
teatrale
riesce
a
personalizzare
in
modo
unico
il
ruolo,
sicuramente
ben
scritto,
riservatole
dal
copione.
Affiancata
da
un
ottimo
Pietro
Longhi
,
l’attrice
veneta
si
esibisce
in
questi
giorni
sul
palco
del
Manzoni
con
«
Questi
figli
amatissimi
…»,
la
commedia
brillante
e
quanto
mai
realistica
uscita
dalla
penna
di
Roberta
Skerl
.
La
precisa
linea
registica
di
Silvio
Giordani
riesce
a
rendere
verosimili
le
dinamiche
interpersonali
che
si
sviluppano
tra
i
quattro
parenti
in
scena,
richiamando
in
modo
più
o
meno
immediato le situazioni familiari di cui siamo spesso testimoni, se non proprio protagonisti.
Ecco,
allora,
che
la
struttura
romana
chiude
la
stagione
2014-2015
con
un
testo
dotato
di
una
comicità
deliziosa
ed
intelligente
,
nel
rispetto
della
sua
vocazione
di
palcoscenico
volto
ad
allestire
spettacoli
caratterizzati
da
una
cifra
umoristica,
pur
sempre
nel
rispetto
di
una
arguta
analisi
della
realtà contemporanea.
Pietro
Longhi
ed
Edy
Angelillo
,
dunque,
danno
volto
e
voce
a
Giulio
ed
Anna
,
due
coniugi
convinti,
quanto
meno
in
apparenza,
di
aver
assolto
il
proprio
ruolo
genitoriale
e
di
aver
avviato
la
prole
verso
un
futuro
che
procede
su
binari
ben
tracciati:
lo
studio
all’estero
per
la
femmina,
il
matrimonio
e
l’attività
economica
in
campagna
per
il
maschio.
La
realtà
però,
come
sempre
succede,
è
molto
più
complicata.
Federica
,
infatti,
la
figlia
ventiseienne,
decide
di
lasciare
Londra
dove
sta
da
un
anno
e
mezzo
a
carico
dei
genitori
che
la
mantengono
a
suon
di
versamenti
di
duemila
euro
al
mese.
Dopo
aver
accantonato
la
facoltà
di
medicina,
per
passare
a
quella
di
filosofia
e,
poi,
a
quella
di
scienze
della
comunicazione,
la
ragazza
capisce
che
la
propria
passione
si
trova
nel
cinema,
e
decide
di
frequentare
un
costosissimo
master
in
«antropologia
visiva»
nella
capitale
britannica,
salvo
poi
accorgersi
di
vivere
un’esperienza
al
di
sotto
delle
proprie
aspettative.
La
situazione,
già
di
per
sé
deprimente,
è
peggiorata
dal
disastroso
epilogo
del
rapporto
col
giovane
finlandese
Ian.
Federica,
interpretata
dalla
brava
Carmen
Di
Marzo
,
è
viziata,
mutevole,
e
rende
scontenti
i
genitori
che
le
rimproverano
un
certo
approccio sterile alle sue infatuazioni.
Poco
più
di
un
anno
di
matrimonio
e
l’avvilente
prospettiva
di
un
imminente
divorzio,
è
la
situazione
in
cui
versa
Gabriele
(un
valido
Danilo
Celli
),
il
figlio
maschio
di
Giulio
ed
Anna
.
Il
ragazzo
avrebbe
le
carte
in
regola
per
un
futuro
radioso,
con
la
sua
laurea
in
fisica
molecolare
ed
una
vita
coniugale
avviata,
ma
il
giovane
pensa
bene
di
rendere
il
tutto
più
movimentato
innamorandosi
della
vita
bucolica
dei
terreni
umbri
e
alimentando
la
propria
vocazione
di
neo-contadino
eco-ambientalista
volto
alla
coltivazione
delle
zucchine
biologiche.
Una
scelta
di
vita
che
sarà
la
causa
della
rottura
del
suo
rapporto con la moglie Francesca, snervata da una vita tanto monotona.
I
quattro,
fra
litigi
e
psicosi
familiari,
si
muovono
in
una
scenografia
che
riproduce
l’interno
di
un
appartamento
semplice
ed
elegante,
curato
nei
dettagli
da
Mario
Amodio
finanche
alla
riproduzione
della tromba delle scale intravista nel gioco di apertura e di chiusura delle porte.
Anna
e
Giulio
si
trovano
a
così
a
fare
i
conti
con
dei
figli
insoddisfatti,
un
po’
egocentrici,
privi
di
un
tetto
e,
più
in
generale,
di
solide
prospettive:
i
due
genitori
si
rendono
conto
di
dover
continuare
a
svolgere
il
ruolo
che
pensavano
di
aver
assolto
in
modo
pressoché
definitivo.
I
ragazzi
non
vogliono
crescere,
ma
loro
cosa
fanno?
Li
spingono
a
cambiare
o,
più
passivamente,
continuano
a
coccolarli?
Li
incoraggiano verso nuove strade o li viziano?
L’argomento
sviluppato
in
«
Questi
figli
amatissimi…
»
è
indubbiamente
noto
e
quanto
mai
attuale,
soprattutto
in
una
società
come
quella
odierna
che
sembra
certificare
il
prolungamento
dell’adolescenza.
Il
rischio
della
pièce,
dunque,
potrebbe
essere
quello
di
cadere
in
qualche
cliché
trito
e
ritrito
che
vanificherebbe
il
senso
dell’operazione.
Ma
il
testo
riesce
nel
tentativo
di
portare
in
scena
qualcosa
di
originale,
anche
grazie
alla
precisa
scrittura
della
Skerl
che,
oltre
ad
affrontare
in
modo
costitutivo
l’argomento,
delinea
con
accuratezza
i
personaggi
,
li
arricchisce
di
sfaccettature,
li
dota
di
quelle
piccole
contraddizioni
che
consentono
loro
di
essere
plausibili.
E
poi,
l’autrice
stimola
la
nascita
di
quel
processo
d’identificazione
che
lo
spettatore
ama
trovare
nei
lavori
contemporanei,
un
fattore
che
lo
mette
nella
condizione
di
poter
ridere
soddisfatto
delle
situazioni
tragicomiche in cui si specchia.
Gradevole
il
personaggio
di
Giulio,
che
il
bravissimo
Pietro
Longhi
porta
in
scena
con
delicatezza
e
padronanza.
Splendida
l’interpretazione
di
Edy
Angelillo,
elegante
ed
armoniosa,
che
diverte
con i suoi scatti d’ira e provoca risate a scena aperta con la sua simpaticissima mimica
.
Articolo di: Simona Rubeis
http://www.saltinaria.it/recensioni/spettacoli-teatrali/questi-figli-amatissimi-teatro-manzoni-roma-
recensione-spettacolo.html
MAIGRET AL LIBERTY BAR
di Georges Simenon
con Paola Gassman, Pietro Longhi, Miriam Mesturino, Pierre Bresolin, Geremia Longobardo, Paolo
Perinelli, Alessandro Loi
regia Silvio Giordani
scene Mario Amodio
costumi Adelia Apostolico
aiuto regia Olimpia Alvino
disegno luci Sacha Donninelli
sarta di scena Elisabetta Viola
amministrazione Giuseppe Varano
Aspetto
distinto,
modi
burberi,
accanito
bevitore,
instancabile
fumatore
di
pipa:
è
il
Commissario
Maigret,
creato
dalla
penna
di
Georges
Simenon
nel
1929
e
protagonista
di
oltre
100
opere
tra
romanzi
e
racconti.
Sul
palco
ha
invece
i
modi
bruschi
e
insieme
benevoli
e
la
voce
profonda
e
cadenzata
di
Pietro
Longhi.
E’
lui
ad
inaugurare
la
stagione
2015/2016
del
suo
teatro
romano
vestendo
perfettamente
i
panni
del
famosissimo
commissario
francese,
chiamato
stavolta
a
indagare
su
un
delitto
in
Costa
Azzurra.
La
vittima
è
un
certo
William
Brown
,
australiano
che
da
anni
vive
ad
Antibes
con
l’amante
e
la
vecchia
madre
ma
che
ama
trascorrere
il
suo
tempo
al
Liberty
Bar.
Qui
si
muovono
le
due
protagoniste
femminili:
Jaja,
la
proprietaria
del
locale,
è
una
donna
fragile
dedita
all'alcol
e
alle
passeggiate,
mossa
da
passioni
e
sentimenti
contrastanti;
Sylvie
è
invece
una
giovane
e
avvenente
prostituta
che
Jaja
ha
accolto
nel
suo
mondo.
Vanno
e
vengono
poi
un
tipo
poco
raccomandabile,
l'ispettore
di
polizia,
il
medico
che
da
anni
ha
in
cura
la
vecchia
Jaja,
il
figlio
di
Brown
arrivato
dall’Australia.
Tutti,
anche
la
vittima,
ruotano
intorno
al
Liberty
Bar,
piccolo
locale
dall'atmosfera
fumosa
che
Jaja
ha
reso
un
rifugio
per
anime
perse
,
un
ambiente
silenzioso
e
confortevole,
al
riparo
dalla
calura
della
croisette
e
dalla
vita
mondana
di
Cannes.
E’
in
quest'ambiente
e
tra
queste
figure
che
dovrà
indagare
Maigret
per
scoprire
la
verità.
Lo
farà
immedesimandosi
nel
Signor
Brown,
facendo
sua
l'abitudine
della
vittima
di
trascorrere
lunghe
ore
al
bar,
di
pranzare
con
Jaja
e
Sylvie,
di
servirsi
autonomamente
al
bancone,
di
lasciarsi
contagiare
dall'atmosfera
del
Liberty
Bar.
Al
solito,
Maigret
non
segue
gli
indizi
ma
il
suo
istinto,
non
esamina
il
cadavere
ma
indaga
nella
psicologia
delle
persone
.
E
solo
immergendosi
nelle
relazioni
disperate
che
legano
i
personaggi
e nella profondità dei loro caratteri, il Commissario scoprirà la verità nascosta...
“Liberty
Bar”
fu
scritto
da
Simenon
nel
1932
e,
dopo
alcune
trasposizioni
televisive,
fu
adattato
per
il
teatro
francese
nel
1955.
Ora
finalmente
arriva
anche
in
Italia.
E'
la
prima
volta
del
Commissario
Maigret
sui
palcoscenici
italiani
e
a
volerlo
fortemente
è
stato
il
regista
Silvio
Giordani
che,
mosso
da
una
passione
decennale
per
i
casi
di
Maigret,
dopo
lunghe
trattative
ne
ha
ottenuto
i
diritti
scegliendo
tra
i
romanzi
di
Simenon
quello
che,
grazie
all’ambientazione
unica
e
alla
molta
riflessione
e
poca
azione,
aveva
un
più
sicuro
impianto
teatrale.
Lo
spettacolo
ha
debuttato
a
luglio
durante
il
Festival
Teatrale
di
Borgio
Verezzi
(SV)
suscitando
subito
un
bell'interesse
tra
i
cultori
di
Maigret.
L'attenta
cura
nel
ricreare
le
atmosfere
tipiche
dei
romanzi
e
l'accurato
delineare
il
carattere
dei
personaggi
e
le
motivazioni
psicologiche
delle
loro
azioni,
fanno
sì
che
le
aspettative
del
pubblico non restino deluse.
Tutto
nello
spettacolo
di
Giordani
è
estremamente
curato.
Le
musiche
suggestive,
in
parte
estratte
dalla
colonna
sonora
originale
della
famosa
serie
televisiva
e
in
parte
scelte
ad
hoc,
creano
la
giusta
atmosfera spaziando da Juliette Greco a Luigi Tenco a Edith Piaf.
La
scenografia
di
Mario
Amodio
,
nella
semplicità
dell’ambiente
unico,
riproduce
l'interno
-
familiare
e
un
po’
retrò
-
del
Liberty
Bar
con
tavolini,
slot-machine,
poltrone,
il
bancone
del
bar
e
due
belle
vetrate
liberty
che
si
stagliano
sul
fondo
e
fanno
filtrare
e
colorano
di
luce
la
scena.
Poi,
chiaramente
determinanti,
ci
sono
le
interpretazioni
degli
attori.
Su
tutte
spicca
Paola
Gassman
che
con
la
sua
Jaja
appassionata
e
straziata
da
alcol
e
rimpianti
è
fluida
e
naturale
per
tutto
lo
spettacolo
fino
ad
arrivare
all'ultima
scena
in
cui
si
mostra
a
pieno
nella
sua
intensità
e
bravura.
Pietro
Longhi,
nei
difficili
panni
del
Commissario
Maigret,
ricordato
da
tutti
soprattutto
per
l'interpretazione
televisiva
di
Gino
Cervi
(considerato
dallo
stesso
Simenon
la
miglior
versione
della
sua
creatura!),
dà
ottima
prova
di
una
recitazione
decisa,
pacata
e
ferma,
a
volte
(volutamente)
addirittura
monocorde,
come
richiesto
dal
ruolo.
Sylvie,
la
terza
protagonista,
è
interpretata
da
una
frizzante
Miriam
Mesturino
mentre
tra
i
personaggi
di
contorno
spicca
Pierre
Bresolin
nel
ruolo
dell'ispettore
della
polizia
locale,
chiamato
di
tanto
in
tanto
ad
alleggerire
il
ritmo
dell'inchiesta
e
del
racconto.
E
se,
inevitabilmente,
lo
spettacolo
parte
lento
e
i
primi
momenti
risultano
più
monotoni
a
causa
della
lunga
chiacchierata
tra
ispettore
e
commissario
con
l'esposizione
del
delitto,
dei
fatti
e
delle
piste
da
seguire,
subito
dopo,
con
l'ingresso
degli
altri
personaggi
e
l'evolversi
della
vicenda,
la
storia
prende
vita
e
lo
spettacolo
tiene
avvinto
il
pubblico
per
più
di
due
ore
.
Caldi
applausi
alla
fine.
L'augurio
è
che
"Maigret
al
Liberty
Bar"
possa
essere il primo esperimento teatrale che apra il sipario su un fortunato filone giallo.
Articolo di: Michela Staderini
http://www.saltinaria.it/recensioni/spettacoli-teatrali/maigret-al-liberty-bar-teatro-manzoni-roma-
recensione-spettacolo.html
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